LETTERA ALLA COMMISSIONE LAVORO SU COLLEGATO AL LAVORO
Alla cortese attenzione
Del Presidente della XI Commissione Lavoro Pubblico e Privato
On. Silvano MOFFA
E p.c. ai Membri della XI Commissione Lavoro Pubblico e Privato
Camera dei Deputati
Piazza Montecitorio, Roma
Oggetto: contributo sul cd “Collegato Lavoro”
Onorevole Presidente, essendo ripreso presso la Commissione da Lei presieduta l’esame del testo del collegato lavoro alla luce del motivato messaggio di rinvio alle Camere del Presidente della Repubblica, e preso positivamente atto dell’intenzione del Parlamento di confrontarsi con le parti sociali, avevamo richiesto di essere convocati con lettera del 13 Aprile 2010. In pari data è giunta la Sua risposta negativa rispetto all'audizione e la richiesta di un eventuale contributo scritto.
Sappiamo bene di rappresentare persone, ragioni ed una complessiva lettura della società diversa da quella di gran parte dei membri della commissione, e però crediamo che non solo anche tale punto di vista possa e debba esprimersi ma che sia comunque per noi necessario esporvi come il collegato lavoro necessiti di una profonda revisione anche alla luce delle stesse linee di sviluppo economico e sociale che pure vengono formalmente poste a fondamento degli atti dell’attuale maggioranza e che sono invece completamente sconfessate dal testo.
Ed infatti lo stesso Sole24 ore (come noto organo della Confindustia) solo lo scorso 7 aprile rilevava come “l'Italia non sia nelle condizioni di trarre vantaggio né dalla sua relativa arretratezza (testimoniata dalla presenza di vaste aree ancora poco sviluppate), né dalla sua relativa modernità. I problemi principali che limitano la nostra capacità di crescita sono noti. In primo luogo, la forza lavoro è poco istruita. La percentuale di popolazione tra i 25 e i 64 anni con almeno un diploma di scuola superiore è di circa il 52%, contro l'84% della Germania e il 69% della Francia. Inoltre, percentuali enormi di giovani, donne e anziani sono inattive” o condannati ad un continuo regime di precarietà indotto dalle “recenti liberalizzazioni del mercato del lavoro” che per altro “non hanno determinato la formazione di un sistema salariale” adeguato da cui il più imponente crollo del reddito delle famiglie degli ultimi vent’anni e il conseguente drastico arretramento dei consumi. Aggiungendosi come i destinatari di tale precarietà sono “individui giovani e relativamente istruiti, cioè i soggetti che possono meglio contribuire alla crescita economica del paese” a cui per altro va aggiunto come “il sistema degli ammortizzatori sociali” li privi “di adeguata copertura”. Ed inoltre “il sistema della scuola e della formazione superiore è obsoleto e di bassa qualità” e “il sistema fiscale è eccessivamente concentrato sul lavoro e sull'impresa” invece che sulla rendita, per altro all’interno di mercati che – ad eccezione di quello del lavoro precarizzato – rimangono “rigidi e poco competitivi”.
Ebbene, assumendo che tale sia anche la vostra analisi, non possiamo che rilevare come il collegato lavoro non solo non vada nella direzione di risolvere questi problemi ma in quella esattamente opposta.
Quanto alla complessiva tematica dell’arbitrato siamo a richiamarci alle ben esposte ragioni di cui al motivato messaggio del Presidente Napolitano. Riteniamo però indispensabile aggiungere come, proprio in ragione dell’indefettibile obbligo di rispettare “i principi della volontarietà dell'arbitrato e della necessità di assicurare una adeguata tutela del contraente debole” a cui il Presidente ha richiamato le Camere, l’unico strumento posto a tutela di tali principi nell’originario testo – ed evidentemente ritenuto insufficiente stante l’avvenuto rinvio alle Camere - era la previsione della clausola compromissoria “solo ove ciò sia previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” (art. 31 comma 9). Al riguardo rileviamo come l’unica possibilità di ritenere tale previsione in qualche modo attestante la “volontarietà” del lavoratore e quindi posta a “tutela” della sua debolezza contrattuale sia quello di applicare a tale previsioni gli ordinari criteri civilistici della rappresentanza limitando gli effetti di tali eventuali accordi a quei soli lavoratori che aderiscano ai detti sindacati e che altresì possano quindi democraticamente concorrere alla formazione prima ed eventualmente alla critica e alla modifica o rimozione poi dei detti accordi qualora ritenuti non satisfattivi. Senza tale basilare principio di democrazia sindacale e di rispetto dei diritti e della volontà individuale dei lavoratori è impossibile ritenere tale previsione in modo alcuno strumento di “volontarietà” e “tutela” ed anzi essa risulterebbe null’altro che un abdicare, in favore di soggetti di natura privatistica e al di fuori di qualsiasi criterio di verifica democratica, dei principi statuali in quanto “solo il legislatore può e deve stabilire le condizioni perché possa considerarsi "effettiva" la volontà delle parti di ricorrere all'arbitrato; e solo esso può e deve stabilire quali siano i diritti del lavoratore da tutelare con norme imperative di legge e quali normative invece demandare alla contrattazione collettiva”, come correttamente rilevato dal Presidente Napolitano.
Ma ci teniamo altresì a rilevare come la fuga dalla giurisdizione e dalla cultura dei diritti e della qualità del lavoro, amplificando così tutti i problemi del sistema Italia sopra richiamati, non si ritrovano solo nella previsione della possibilità di imporre al momento genetico del rapporto una clausola di compromesso ad arbitrato secondo equità dei diritti controversi che insorgeranno nel rapporto ma - forse ancor più – nelle ulteriori previsioni del testo. E infatti è lo stesso messaggio del Presidente che afferma come “al di là delle osservazioni fin qui svolte a proposito dell'articolo 31, è da sottolineare l'opportunità di una riflessione anche su disposizioni in qualche modo connesse - presenti negli articoli 30, 32 e 50 - che riguardano gli stessi giudizi in corso e che oltretutto rischiano, così come sono formulate, di prestarsi a seri dubbi interpretativi e a potenziali contenziosi”. Tale affermazione – come reso esplicito dall’avverbio “oltretutto” – non invita le Camere a rivedere il contenuto dei predetti articoli solo per i “dubbi interpretativi” conseguenti alla loro innegabile cattiva fattura, ma prima ancora in quanto gli stessi condividono i medesimi profili di anticostituzionalità trattandosi di “disposizioni in qualche modo connesse”. E quindi l’intera previsione secondo la quale la effettiva "volontarietà delle negoziazioni con speciale riguardo ai rapporti di lavoro ed alla tutela dei diritti del lavoratore in sede giurisdizionale” impone che ogni termine decorra “dalla cessazione del rapporto” richiamandosi appositamente “le sentenze della Corte Costituzionale n. 63 del 1966, n. 143 del 1969, n. 174 del 1972, n. 127 del 1977, n. 488 del 1991, nn. 49, 206 e 232 del 1994, n. 54 e 152 del 1996, n. 381 del 1997, n. 325 del 1998 e n. 221 del 2005” fa conseguire la certa anticostituzionalità anche dei termini decadenziali imposti ai lavoratori precari alla scadenza di ciascun contratto in caso di reiterazione degli stessi, e ai lavoratori trasferiti o oggetto di cessione di ramo d’azienda. Così come ovviamente contrasta con “una adeguata tutela dei diritti più rilevanti del lavoratore (da quelli costituzionalmente garantiti agli altri che si ritengano ugualmente non negoziabili)” sia la previsione della forfetizzazione del danno dei lavoratori precari, il travolgimento delle sentenze relative ai contratti a progetto di cui all’art. 50, i termini decadenziali di 180 giorni per le azioni giudiziarie afferenti ai più rilevanti e costituzionalmente garantiti tra i diritti dei lavoratori. Ed ugualmente contrastano con il “fondamentale principio di statualità ed esclusività della giurisdizione (art. 102, primo comma, della Costituzione)” tutte le previsioni dell’art. 30 e cioè sia la vincolatività della contrattazione individuale certificata sia il limite al vaglio giudiziale.
Al riguardo rileviamo come, qualora tale previsioni dovessero essere riproposte immutate alla firma del Presidente, il necessario punto di caduta del loro combinato disposto e comunque di quelle che riguardano i lavoratori atipici è che l'obbligo di impugnare entro 60 giorni dalla cessazione del rapporto i contratti a termine o co.co.pro o di lavoro interinale, renderà impossibile giustiziare tutti quei casi (e cioè praticamente tutti) ove il lavoratore speri nella richiamata in servizio che avviene solitamente con intervalli maggiori a tale termine. Ed infatti se a ciò si aggiunge che in caso di vittoria non si potrà più avere neppure il pieno risarcimento del danno ma solo alcune mensilità, se ne evince l'assoluta irragionevolezza per il lavoratore di impugnare nei 60 giorni successivi alla scadenza del termine perdendo il posto ancorché precario e rinunciando definitivamente alla aspettativa di essere richiamati in servizio, e l'assoluta irragionevolezza per i datori di assumere a tempo indeterminato essendo i "vecchi" ancora tutelati dall'art. 18 S.L. (con effetti ripristinatori e risarcitori reali) mentre i precari liquidabili, nei rari casi in cui non incappassero nella doppia decadenza o nella clausola compromissoria preventiva ed irrevocabile, con piccolissime somme.
A prescindere ora dai profili di incostituzionalità e di contrasto con la normativa Europea, davvero evidentissimi, rileviamo come l’Italia sia rimasto l’unico paese in Europa a non avere già approvata o in discussione su proposta della maggioranza una legge sul reddito (ed anzi con proposte dell’opposizione parlamentare in alcuni casi addirittura peggiorative rispetto al triste esistente). Ciò che produrrebbe l’approvazione immutata del collegato lavoro diverrebbe quindi un definitivo attacco "generazionale" all'unica forma di reddito esistente: il lavoro e il salario. Al riguardo va ricordato ancora come il lavoro precario nella sua grandissima parte riguardi i giovani (e nella porzione residua per lo più il lavoro femminile e migrante) e che su essi graverà sostanzialmente anche il peso della clausola compromissoria. Ciò detto la scelta di rendere il precariato l’unica ed ingiustiziabile forma futura di lavoro in assenza di qualsivoglia introduzione di forme di welfare e di rimodulazione del carico fiscale, e nell’ulteriore smantellamento della scuola (ricordiamo che l’obbligo scolastico viene ridotto di un anno dall’art. 49 del collegato), all’interno di mercati sempre più oligopolistici e dominati da rendite di posizione lecite e spesso anche illecite, è la precisa scelta di costringere la generazione dei ventenni e dei quarantenni (e le donne e i migranti) a pagare un tributo pesantissimo. E ciò avviene condannando tutto il sistema economico del paese e le future generazioni.
Distinti saluti
Pierpaolo Leonardi per Federazione RDB
Fabrizio Tomaselli per SdL intercategoriale
Carlo Guglielmi e Arturo Salerni per il Coordinamento dei Legali
Roma, 14 Aprile 2010
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