1 maggio 2008

Roma -

 

1° MAGGIO FESTA DEL LAVORO.

 

 

Ma quale lavoro? Quello precario, quello in nero, sommerso sottopagato, sfruttato, quello per cui si muore tutti i giorni sui posti di lavoro.  Tutti i giorni…dall’inizio dell’anno sono più di 300 i morti… e siamo solo ad aprile. Stragi come quella della Thyssen o di Molfetta aprono il dibattito, fanno audience, risaltano sulle prime pagine dei giornali e nelle trasmissioni di intrattenimento, poi… tutto diventa routine, tragica  fatalità, quasi come se facesse parte di un destino ineluttabile morire sui posti di lavoro. Lavorare per vivere e non lavorare per morire, ma se non si interviene sulle norme, soprattutto se non si interviene sulla struttura produttiva del nostro Paese, i morti continueranno ad essere migliaia, nei cantieri, sulle strade, nelle fabbriche e persino nei campi. “Tragica fatalità” ma continuano a morire  lavoratori costretti a lavorare in condizioni di assoluta carenza di sicurezza, precari ed immigrati  senza alcuna formazione, costretti dai ritmi di lavoro ad accelerare la produttività a livelli assurdi, alla ricerca sempre più sfrenata del profitto a favore delle imprese. Le imprese… Emma Marcegaglia, nuovo leader di Confindustria ha già dichiarato che chiederà al prossimo Governo la modifica delle norme restrittive (!) appena introdotte nel nuovo Testo Unico sulla sicurezza, perché la “soluzione non può essere nell’inasprimento delle sanzioni, ma nella diffusione della cultura della sicurezza”… Come se la cultura della sicurezza  fosse una variabile indipendente rispetto alle condizioni materiali in cui si lavora. Certo la formazione, l’informazione sono importanti, ma non può essere solo questo: non può esserci seria prevenzione e lotta contro l’esercito di morti e di feriti di questa guerra senza fine se non si respinge un modello di sviluppo distorto, basato sulla massima flessibilità del mercato del lavoro, sulla riduzione di costi per la prevenzione, su incrementi degli orari lavorativi e dei tempi di produzione, sul peggioramento della qualità della vita di chi lavora.  E  se non si attua una seria politica di controlli. Seria, contrariamente a quanto chiedono, guarda caso, le imprese,  incrementando il numero degli ispettori, razionalizzando il sistema dei controlli nella direzione di una maggiore capillarità.

Ma  torniamo al 1° maggio. Nel piazzale antistante la Direzione Generale a Piazzale Pastore sarà inaugurato, alla presenza del Capo dello Stato, il  Monumento ai Caduti del Lavoro. Si montano tribune d’onore , si rivernicia quello che si può riverniciare, si allestiscono aiuole, si tirano a lucido i sampietrini, si rifà il look ai bagni che verranno utilizzati dalle alte cariche istituzionali; addirittura (o sarà casuale?) si rifà l’asfalto stradale e si riempie di fiori la Cristoforo Colombo, strada di accesso all’ Eur.  E, come un coniglio uscito dal cappello, si comunica, dopo anni di attesa, che verrà rimossa quella schifezza di moquette che abbiamo nelle stanze. Che non si dica che l’Amministrazione pensa solo al Capo dello Stato! Ma non vogliamo parlare di questo…

Il punto è che non ci sono mai piaciute le operazioni di facciata, soprattutto quando tentano di far vedere  qualcosa che non c’è. Parliamo tanto di prevenzione, ma vogliamo interrogarci seriamente su cosa rappresentano le centinaia di aree per la prevenzione, create con il nuovo modello organizzativo? Avevamo forse torto quando dichiaravamo che si trattava di contenitori vuoti, creati solo per adempiere alle disposizioni della finanziaria? Possiamo essere smentiti se affermiamo che,  a distanza di mesi, è, in massima parte   la stessa dirigenza a  non essere convinta  della “cultura della prevenzione” perché non coinvolta in un progetto che non c’è?

Parliamo tanto del ruolo del nostro Istituto, ma vogliamo continuare a nascondere che l’Ente non ha saputo cogliere l’occasione del Testo Unico sulla sicurezza per mettere a disposizione l’ingente patrimonio di professionalità di cui dispone? O che gli stanziamenti sui capitoli di bilancio relativi alla prevenzione vengono utilizzati solo in minima parte?

E allora inauguriamo il monumento e distribuiamo medaglie, crogiolandoci nella retorica e nella platealità dell’evento mediatico trasmesso dalle televisioni. Per noi quel monumento resterà lì , giorno dopo giorno, a ricordarci tutto quello che, non certo per colpa nostra,  potremmo fare e non facciamo. Perché per ciascuno di noi, la morte di un lavoratore rappresenta  ogni volta una  sconfitta. 

 

Roma, 30 aprile2008 

                       RdB CUB INAIL 

              Coord. Nazionale   P.I.            

                      Daniela Mencarelli